Partendo dal presupposto che i legumi fanno bene, con nutrizionisti e medici che consigliano di consumarli almeno tre volte alla settimana, proponiamo una serie di ricette per utilizzarli attraverso prodotti derivati, ideali anche per chi è meno abituato al loro consumo. Pane con Farine di Ceci e Semola di Grano DuroUna ricetta facile, adatta anche per chi non si è mai cimentato nella preparazione del pane in casa. La farina di ceci dà gusto, profumo e caratteristiche organolettiche superiori, e la semola risulta meno raffinata di altre, quindi più salutare. Ingredienti: 320 gr. Semola (di grano duro) 80 gr. Farina di ceci bio 12 gr. Lievito madre essiccato o due cucchiaini di lievito di birra secco ½ cucchiaino di zucchero o miele 1 cucchiaino di sale 300 ml acqua a temperatura ambiente Dopo aver messo l’acqua in una terrina, versare un po' alla volta le due farine, il lievito, il sale e lo zucchero, quindi impastate per qualche minuto, poi coprite con la pellicola. Dopo 15 minuti dare una girata all’impasto e ricoprire, ripetendo l’operazione dopo una decina di minuti. Ricoprire e mettere in frigo anche per 24 ore, tranquillamente. Stendere l’impasto su una spianatoia leggermente infarinata e piegare in quattro formando una pagnotta da sistemare su un canovaccio infarinato in una terrina per 90 minuti, a temperatura ambiente. Nel frattempo scaldare il forno ventilato a 220 gradi, posizionando già all’interno una pentola in ghisa con coperchio (questa fa la differenza). Quindi rovesciare l’impasto all’interno con l’aiuto dello stesso canovaccio, coprire e infornare per 30 minuti, togliendo poi il coperchio e continuando la cottura per altri 15 minuti. Sfornerete così una pagnotta di circa 600 grammi, gustosissima, ottima da consumare anche nei giorni successivi, se non la finite subito… Provate a fare dei crostini con il baccalà mantecato o con un misto di erbe di campo, o ancora solo con un buon olio e una macinata di un buon pepe. Rispetto ad altri, con l’aggiunta della farina di ceci (o di altri legumi) si ottiene un pane più compatto, ma comunque morbido il giusto, con una crosticina che ricorda una pagnotta cotto su forno a legna. Provare per credere. Mai come quest’anno attendiamo tutti la primavera, tempo di rinascita, nel senso più ampio del termine, ma anche della semina, perché per avere un buon raccolto bisogna aver seminato bene… E la festa di San Giuseppe, a ridosso dell’equinozio, un tempo simboleggiava l’inizio della buona stagione, con i riti propiziatori per un buon raccolto. Naturalmente quest’anno tutte le feste dedicate al Santo non si potranno svolgere, ma vogliamo ugualmente ricordare alcune di queste preziose tradizioni, ricche di radici spirituali e culturali antichissime, nei piatti tradizionali dove i legumi diventano protagonisti. Eccone alcuni, radicati soprattutto al sud: In Calabria, oltre alla classica ciciri e tria o massa di S. Giuseppe, una pasta fatta in casa con i ceci, troviamo anche la cicerata di San Giuseppe, ravioli dolci ripieni di crema di ceci, e, nel paese di Longobucco, nella Sila greca, in provincia di Cosenza, l’U’mmit e San Giuseppe, ovvero una pasta condita con sugo di ceci e fagioli, accompagnata dalla zuppa di baccalà, offerta un tempo ai bisognosi e oggi ai cittadini presenti (U’mmit infatti significa invito). A Mottola, in provincia di Taranto, è usanza che attorno al grande falò di San Giuseppe si assaporino ceci abbrustoliti, chiamati calia, insieme ad un buon bicchiere di vino. TAVOLE DI SAN GIUSEPPE E la presenza dei legumi è preponderante anche nelle “Tavole di San Giuseppe”, che ancor oggi si preparano in molti comuni abruzzesi, pugliesi, calabresi e siciliani, e originariamente nate con l’intento di offrire del cibo ai poveri. Tra i tredici piatti preparati in onore del Santo troviamo infatti li fai cu lla sarda, un purè di fave con la sarda, cicir e fasul, ceci e fagioli con il baccalà fritto, e la massa, una tagliatella fatta in casa condita con ceci, olio cotto, cipolla, scalogno, prezzemolo, cannella e pepe, un piattino leggero leggero… Le tredici pietanze possono variare da luogo a luogo, ma ceci, fave e fagioli sono sempre presenti. La pasta con i ceci, dai vari formati e condita in più modi, diventa il piatto tradizionale per questa festività anche nel Lazio e in Sicilia. Qui, nel catanese, si usa preparare il macco di San Giuseppe, con una purea di fave, mentre nel palermitano (a Partinico in particolare) si consumano le cassatelle ripiene di passata di ceci, zucchero, cannella, gocce di cioccolato e zucca candita. MACCO DI SAN GIUSEPPE Ma un po' in tutta la Sicilia troviamo la minestra di San Giuseppe, o i tagghiarini (una tagliatella abbastanza sottile) ai sette pitanzi o virgineddi, con un mix di sette ingredienti tra legumi, in genere tre, e verdure di stagione, quattro. A Scicli (RG), in occasione della Cavalcata di San Giuseppe, tra le degustazioni offerte, c’è anche quella dei famosi fagioli cosaruciaru, presidio Slow Food.
Nel Molise, a Riccia (conosciuta anche per il suo pregiato fagiolo bianco) è usanza preparare il calzone di San Giuseppe o Cavezone, ora divenuto prodotto De.Co., e consumato anche in occasione della Pasqua. A Milis, in provincia di Oristano, in occasione della tradizionale Festa dei Ceci in onore di San Giuseppe si preparano, dal 1920, pentoloni di ceci conditi con pezzi di lardo, olio e finocchietto selvatico da distribuire a tutta la comunità e agli ospiti. Infine a La Spezia, per la festa del patrono, il 19 marzo si preparano delle frittelle di ceci chiamate “cuculli”, nome di derivazione toscana, che indica il bozzolo non ancora maturo. Abbiamo intervistato la signora VERA VARRONE, presidente e referente dei produttori del pisello Centogiorni, presidio Slow food :
D. Buongiorno Vera, come e quando nasce il recupero di questa antica varietà? Da quando si coltiva in zona? E perché questo nome? R. Il pisello Centogiorni viene prodotto nell’area vesuviana da almeno un secolo, anche se la coltivazione di questo legume nei nostri territori è antichissima, già Greci e Romani ne facevano buon uso. Nel 1781, il grande cuoco filosofo Vincenzo Corrado sottolineava nel suo libro “sono i piselli gustosissimi quando sono verdi e teneri, nella nostra Napoli se ne fa uso grandissimo”. Fino agli anni ‘70 era molto diffuso, poi la corsa alle varietà più facili e produttive per l’industria hanno causato il suo progressivo abbandono. Grazie ad alcuni contadini locali che ne avevano salvato il seme, nel 2018 è iniziato un progetto di recupero e coltivazione, che lo ha portato a diventare un presidio Slow Food e ad essere inserito nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Campania. Un ruolo virtuoso l’ha avuto il comune di Trecase, storicamente il più votato a questa coltivazione, nella persona del sindaco Raffaele De Luca che, insieme a Patrizia Spigno (responsabile dei presidi Slow Food Campania) e Maria Lionelli, fiduciaria della condotta Vesuvio, hanno creato un gruppo di piccoli produttori, aiutandoli a recuperare una piccola quantità di semi per iniziare, ed oggi sono in diciotto a formare l’Associazione Pisello Centogiorni del Vesuvio. Non ultimo, la figura di Fofò Ferriere, “ristorattore” e ambasciatore di questo grande prodotto. Il nome deriva dal periodo medio del suo ciclo, appunto di 100 giorni circa, anche se oggi, a causa del cambiamento climatico, si è un po' allungato. Quando si semina per essere raccolto così presto? Un tempo la semina veniva fatta nei giorni successivi alla festa della Madonna della Neve, il 22 ottobre, seguendo il lunario agricolo-contadino, oggi si inizia ai primi di novembre, sempre in pieno campo come una volta, per essere raccolto, a scalare, a mano, dalla metà di marzo a maggio. Dove e come si può acquistare il prodotto fresco? Esistono anche prodotti confezionati? I piselli freschi si possono acquistare, da questa settimana, direttamente tramite il sito pisellocentogiornidelvesuvio.com o nella pagina facebook pisellocentogiorni, oppure ogni prima domenica del mese, da marzo a maggio, al Mercato della Terra a Boscoreale. Si possono poi comprare i piselli precotti in acqua e sale o in crema di baccelli attraverso la piattaforma Foodscovery. Quali sono le sue principali caratteristiche ? L’estrema dolcezza e delicatezza, davvero unica, e una cottura molto breve, anche se è da provare pure crudo. Inoltre la sua precocità grazie al clima e al terreno, che la rendono una “vera” primizia, non forzata. Un tempo, i piselli secchi venivano ridotti in farina, sia per la conservazione che per l’importante valore nutrizionale. Qual è allora la ricetta tradizionale per gustare al meglio questa primizia? Sicuramente la pasta e piselli alla napoletana (trovate la ricetta all’indirizzo https://www.legumichepassione.com/ricette-campania.html), anche se in zona viene proposta abitualmente anche col baccalà o con le seppie, un abbinamento che troviamo già negli antichi ricettari Romani. Dato che ci è venuta fame, ci indichi un paio di ristoranti della zona dove poterli gustare al meglio, sicuri della loro autenticità Sono parecchi i ristoranti del territorio coinvolti nel processo di tutela e valorizzazione dei piselli Centogiorni, indispensabili per farli conoscere insieme alle altre eccellenze del territorio vesuviano, in particolare direi il ristorante La Lanterna, a Somma Vesuviana, e il Garum, a Pompei, entrambi inseriti nella guida Osterie d’Italia, Slow Food Editore. Intervista di Leopoldo Simonato per Legumi che passione Articoli, libri e pubblicazioniIn questo spazio vogliamo raccogliere articoli, notizie, e libri che riteniamo interessanti e rilevanti per tutti gli appassionati di legumi. Oggi presentiamo un libro dedicato al fagiolo, CADE A FAGIOLO, di Carla Coco e Flavio Birri, Marsilio Editore, prima edizione 2000. Dal mondo antico alla nostra tavola. Storia, miti e pregiudizi della “carne dei poveri”. Un libro completo, ricco di appunti gastronomici e curiosità. La storia del fagiolo raccontata in modo chiaro e attento, partendo dai Romani, continuando con l’arrivo del fagiolo americano e la sua diffusione fino ai giorni nostri.
Non mancano alcune ricette rappresentative dei vari periodi storici, talune difficilmente riproponibili, altre rimaste invariate nel tempo. Il libro si può trovare su internet tranquillamente, ma se lo acquistate in libreria è meglio. La salvaguardia delle antiche varietà di legumi, che progressivamente stanno scomparendo, viene affidata alla passione, alla tenacia e all’amore per il proprio territorio degli “agricoltori custodi”, che si impegnano a conservare quei semi che hanno caratterizzato un tempo passato, e che potranno rappresentarne uno futuro, anche prossimo. Ogni singola varietà è identificabile, possiede un nome locale, è caratterizzata da un adattamento alle condizioni ambientali e di coltivazione di una determinata area, ed è strettamente associata agli usi, alle conoscenze, alle abitudini, ai dialetti e alle ricorrenze della popolazione locale che l’ha sviluppata e ne continua la coltivazione. Conservare la biodiversità è uno strumento per salvaguardare l’ambiente, il paesaggio storico, e riconoscere un’identità alla popolazione. Può diventare una nuova risorsa economica per il territorio, un volano per la produzione di beni e servizi. Conosciamo allora da vicino questi “angeli” insieme al legume che proteggono! INTERVISTA CON ELISABETTA FIORITO, agricoltrice custode di Sannicola, in provincia di Lecce, che ha ripreso con passione e tenacia la coltivazione del pisello riccio di Sannicola, un’antica varietà che stava oramai scomparendo. Potremmo definirlo “Il primo legume dell’anno”, una primizia che si inizierà a raccogliere da metà marzo. D. Buongiorno Elisabetta, per prima cosa volevo chiederti: cosa ti ha spinto a diventare “custode” di questo legume?
R. Sono partita dall’amore per la mia terra, che mi ha spinto alla ricerca di varietà locali che non si coltivano più, ma che possiedono un notevole valore, dato dalla rusticità della pianta, dalla precocità della raccolta, e soprattutto dalla bontà del prodotto fresco, di una dolcezza impareggiabile. Da quanto si coltiva in zona il pisello riccio di Sannicola? In quali comuni? Sicuramente da centinaia d’anni, oggi si stanno recuperando documenti storici che ne accertino la presenza e la coltivazione in loco. Questa varietà nana, rustica e compatta, si coltivava nei comuni di Sannicola, Alezio e Nardò, almeno fino agli anni ‘70/’80, utilizzando terreni marginali, anche rocciosi, e senza bisogno di acqua. Quando avviene la semina? E quando si raccoglie? Un tempo c’era l’usanza di seminarlo dopo la Fiera agricola di San Simone, il 28 ottobre, dove, in quell’occasione, si potevano anche acquistare le sementi. Oggi si inizia dai primi di novembre fino a dicembre, per raccoglierlo poi da metà marzo a metà maggio, a scalare. In alcuni anni è stato raccolto anche a febbraio! Tutto manualmente. Una primizia assoluta, e non “costruita”. Quanti sono i produttori oggi? Che produzione fanno? Si può acquistare il prodotto fresco? Nei ristoranti è presente? Veri produttori, nel senso di aziende agricole non ce ne sono, io ne produco due quintali, altri contadini riescono a portare poche quantità nei mercati locali, il rimanente, presente negli orti famigliari, è solo per autoconsumo. Per il momento quindi non è possibile acquistare il prodotto se non in zona. Nei ristoranti del territorio si può trovare, ma occasionalmente, nel periodo primaverile. Esiste una sagra o festa dedicata al pisello riccio di Sannicola? Non esiste ancora una sagra dedicata, ma stiamo cercando di poterla organizzare nella prossima primavera, nel periodo di massima produzione del prodotto fresco, per promuoverlo, farlo conoscere ed assaggiare. Essendo tu Elisabetta anche una bravissima cuoca, ci vuoi indicare qualche ricetta della tradizione salentina? Un tempo, quando le produzioni abbondavano, i piselli freschi venivano consumati crudi, a fine pasto, al posto della frutta, insieme alle fave o ad altri ortaggi. Era chiamato subbra taula (ovvero sopra la tavola, nome di derivazione spagnola), ed essendo dolcissimi, anche i bambini ne erano ghiotti! Una ricetta che rispetta la tradizione contadina è la zuppa di piselli con l’uovo: “In una padella imbiondire una cipolla tritata con olio e un po’ d’acqua, unire poi i piselli per farli innamorare, quindi coprire con altra acqua e salare q.b.. Dopo 10 minuti aggiungere due uova sbattute, mescolare bene e far cuocere per altri cinque minuti. Infine aggiungere pepe e prezzemolo tritato, con un altro “giro di buon olio del Salento”, facoltativo, come l’aggiunta di crostini tostati”. L’altra ricetta prevedeva l’uso dei piselli di Sannicola secchi (erano quelli che rimanevano sulle piante, oppure essiccati in annate quando la produzione era particolarmente abbondante), che venivano cotti sulla classica pignata, ed erano chiamati piselli a Cecamariti (si possono trovare la ricetta e la curiosa storia su https://www.puglia.com/piselli-a-cecamariti-curiosa-specialita-salentina/). Intervista di Leopoldo Simonato per Legumi che passione Il fagiolo di Spagna (Phaseolus Coccineus) è sicuramente una delle più belle varietà di fagiolo, facile da identificare per la dimensione decisamente più grossa rispetto alle altre e, vista la sua presenza in quasi tutti i territori montani italiani, da nord a sud, vale la pena di conoscerla meglio. Originaria del Centro America, in particolare dal Messico, arriva in Europa oltre cento anni dopo il Phaseolus Vulgaris (la grande famiglia dei borlotti), esattamente nel 1633 per mezzo del naturalista e collezionista inglese J. Tradescant, che lo portò nel “suo” orto botanico di South-Lambeth.
La pianta, rampicante, alta fino a tre metri, è stata coltivata per molto tempo solo a scopo ornamentale, grazie ai delicati fiori rossi o bianchi simili a piccole orchidee, e piantata nei giardini o in vasi disposti nelle finestre delle ricche dimore. Ancor oggi, per gli inglesi, rappresenta “la pianta di fagioli” per eccellenza, è presente in moltissimi orti domestici, dove unisce la bellezza dei fiori alla bontà – e abbondanza – dei semi. Anche in Friuli veniva usata come pianta ornamentale fino ai primi del ‘900, e chiamata “Fasul di rose”, i cui semi vengono descritti nel vocabolario friulano di Jacopo Pirona “molto grossi e picchettati di nero e di rosso, e sono pure commestibili” . In Italia, come detto, il fagiolo di Spagna è coltivato prevalentemente in montagna, come la stragrande maggioranza delle varietà rampicanti che in pianura difficilmente riescono a produrre un buon quantitativo di semi, ed è presente in molte regioni. In cucina viene normalmente consumato lessato, in insalata, condito con olio locale, o abbinato ad erbaggi; risulta invece meno adatto alla preparazione di minestre e zuppe. Caratteristico è il suo sapore che ricorda la nocciola. Viene utilizzato anche in altre cucine europee, Spagna e Grecia prediligono la varietà “bianco di Spagna”, mentre in Austria e Germania vengono preferiti gli ecotipi “marmorizzati”, con varie colorazioni. Ecco una lista dei “Fagioli di Spagna” presenti in Italia (di cui trovate alcune schede complete nel sito) ABRUZZO FAGIOLO A FAVA - AQ FAGIOLOTTA BIANCA - AQ FASCIOLOZZE o FAVONE - TE CALABRIA PAPPALUNI D’ASPROMONTE - RC FAGIOLO A FAVA DEL REVENTINO - CZ FAVARULA NERA - CZ FRIULI V.G. FAGIOLO GIGANTE DI PLATISCHIS - UD FAGIOLO GIGANTE DI RUALIS - UD FAGIOLO FIORINA DI LUSEVERA - UD LAZIO FAGIOLONE DI VALLEPIETRA – RM LIGURIA FAGIOLANA DI TORZA – SP LOMBARDIA FAGIOLO DELLA VALVESTINO - BS COPAFAM DELLA VAL CAMONICA – BS FAGIOLO DEL TONE - VAL SERIANA - BG FAGIOLO DI CLUSVEN / GANDINO – BG MARCHE FAGIOLO TURCO O CIAVATTONE BIANCO - MC FAGIOLO DE LI ROTELLI – PASSO TREIA – MC MOLISE FAGIOLI DI CASTEL S. VINCENZO – IS PIEMONTE FAGIOLANA DELLA VAL BORBERA - AL TOSCANA SCHIACCIONE DI PIETRASANTA – LU FAGIOLA GARFAGNANA o CASCIANA - LU FAGIOLA FIORENTINA TRENTINO FAGIOLI CECCONI DI CAPRIANA – TN FASOLE “BAGIANE” DI TESERO – TN FASOLANE DI STORO – TN FASOLE DI CASTEL TESINO – TN FAGIOLO DI SPAGNA DELLA VAL D’ULTINO – BZ VALLE D’AOSTA FAGIOLI GAMEA’ - AO VENETO FASOLA DEL DIAVOLO - VI FASOLA DI POSINA “POSENADA” - VI FAGIOLO CORONA DI FELTRE - BL FASOLE “ZOTE” DEL FELTRINO - BL Un vero patrimonio da salvaguardare! |
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