La salvaguardia delle antiche varietà di legumi, che progressivamente stanno scomparendo, viene affidata alla passione, alla tenacia e all’amore per il proprio territorio degli “agricoltori custodi”, che si impegnano a conservare quei semi che hanno caratterizzato un tempo passato, e che potranno rappresentarne uno futuro, anche prossimo. Ogni singola varietà è identificabile, possiede un nome locale, è caratterizzata da un adattamento alle condizioni ambientali e di coltivazione di una determinata area, ed è strettamente associata agli usi, alle conoscenze, alle abitudini, ai dialetti e alle ricorrenze della popolazione locale che l’ha sviluppata e ne continua la coltivazione. Conservare la biodiversità è uno strumento per salvaguardare l’ambiente, il paesaggio storico, e riconoscere un’identità alla popolazione. Può diventare una nuova risorsa economica per il territorio, un volano per la produzione di beni e servizi. Conosciamo allora da vicino questi “angeli” insieme al legume che proteggono! INTERVISTA CON ELISABETTA FIORITO, agricoltrice custode di Sannicola, in provincia di Lecce, che ha ripreso con passione e tenacia la coltivazione del pisello riccio di Sannicola, un’antica varietà che stava oramai scomparendo. Potremmo definirlo “Il primo legume dell’anno”, una primizia che si inizierà a raccogliere da metà marzo. D. Buongiorno Elisabetta, per prima cosa volevo chiederti: cosa ti ha spinto a diventare “custode” di questo legume?
R. Sono partita dall’amore per la mia terra, che mi ha spinto alla ricerca di varietà locali che non si coltivano più, ma che possiedono un notevole valore, dato dalla rusticità della pianta, dalla precocità della raccolta, e soprattutto dalla bontà del prodotto fresco, di una dolcezza impareggiabile. Da quanto si coltiva in zona il pisello riccio di Sannicola? In quali comuni? Sicuramente da centinaia d’anni, oggi si stanno recuperando documenti storici che ne accertino la presenza e la coltivazione in loco. Questa varietà nana, rustica e compatta, si coltivava nei comuni di Sannicola, Alezio e Nardò, almeno fino agli anni ‘70/’80, utilizzando terreni marginali, anche rocciosi, e senza bisogno di acqua. Quando avviene la semina? E quando si raccoglie? Un tempo c’era l’usanza di seminarlo dopo la Fiera agricola di San Simone, il 28 ottobre, dove, in quell’occasione, si potevano anche acquistare le sementi. Oggi si inizia dai primi di novembre fino a dicembre, per raccoglierlo poi da metà marzo a metà maggio, a scalare. In alcuni anni è stato raccolto anche a febbraio! Tutto manualmente. Una primizia assoluta, e non “costruita”. Quanti sono i produttori oggi? Che produzione fanno? Si può acquistare il prodotto fresco? Nei ristoranti è presente? Veri produttori, nel senso di aziende agricole non ce ne sono, io ne produco due quintali, altri contadini riescono a portare poche quantità nei mercati locali, il rimanente, presente negli orti famigliari, è solo per autoconsumo. Per il momento quindi non è possibile acquistare il prodotto se non in zona. Nei ristoranti del territorio si può trovare, ma occasionalmente, nel periodo primaverile. Esiste una sagra o festa dedicata al pisello riccio di Sannicola? Non esiste ancora una sagra dedicata, ma stiamo cercando di poterla organizzare nella prossima primavera, nel periodo di massima produzione del prodotto fresco, per promuoverlo, farlo conoscere ed assaggiare. Essendo tu Elisabetta anche una bravissima cuoca, ci vuoi indicare qualche ricetta della tradizione salentina? Un tempo, quando le produzioni abbondavano, i piselli freschi venivano consumati crudi, a fine pasto, al posto della frutta, insieme alle fave o ad altri ortaggi. Era chiamato subbra taula (ovvero sopra la tavola, nome di derivazione spagnola), ed essendo dolcissimi, anche i bambini ne erano ghiotti! Una ricetta che rispetta la tradizione contadina è la zuppa di piselli con l’uovo: “In una padella imbiondire una cipolla tritata con olio e un po’ d’acqua, unire poi i piselli per farli innamorare, quindi coprire con altra acqua e salare q.b.. Dopo 10 minuti aggiungere due uova sbattute, mescolare bene e far cuocere per altri cinque minuti. Infine aggiungere pepe e prezzemolo tritato, con un altro “giro di buon olio del Salento”, facoltativo, come l’aggiunta di crostini tostati”. L’altra ricetta prevedeva l’uso dei piselli di Sannicola secchi (erano quelli che rimanevano sulle piante, oppure essiccati in annate quando la produzione era particolarmente abbondante), che venivano cotti sulla classica pignata, ed erano chiamati piselli a Cecamariti (si possono trovare la ricetta e la curiosa storia su https://www.puglia.com/piselli-a-cecamariti-curiosa-specialita-salentina/). Intervista di Leopoldo Simonato per Legumi che passione Comments are closed.
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June 2021
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