Articolo di Mariangela Latella, tratto dal sito freshcutnews.it I baccelli di fava, oggi uno scarto della produzione agricola, hanno un valore nutrizionale così elevato da farne un nuovo superfood con proprietà nutrizionali incredibili oltre che un nuovo alleato ‘naturale’ nella lotta al morbo di Parkinson per l’elevato contenuto di fenoli e L-dopa, un precursore naturale del neurotrasmettitore dopamina.
Lo rivela una ricerca congiunta dell’Università e del CNR di Bari, realizzata su sei varietà di fava e appena pubblicata sulla rivista internazionale ‘Foods’, realizzata nell’ambito del progetto di ricerca BiodiverSO (Biodiversità delle Specie Orticole della Puglia) che apre nuovi orizzonti di economia circolare nel settore della IV e V Gamma. Ne parliamo con Massimiliano Renna, ricercatore dell’ISPA-CNR di Bari, coautore del contributo insieme a Pietro Santamaria, ordinario di Scienze agro-ambientali e territoriali dell’Università di Bari. – Ritiene che i baccelli di fava siano utilizzabili come nuovo prodotto di IV Gamma? “Potrebbero essere proposti come nuovo prodotto di IV Gamma se consideriamo che tale tipologia di prodotti prevede fasi di preparazione e condizionamento tali da fornire tutta una serie di servizi al consumatore tra cui pulizia, mondatura, lavaggio, taglio in unità o sub-unità pronte all’uso, conservando nel contempo le caratteristiche di genuinità di un prodotto fresco. Tuttavia, i baccelli di fava richiedono una fase di cottura prima di poter essere consumati come alimento. Pertanto, una nuova referenza di IV Gamma a base di baccelli di fava potrebbe essere promossa come nuovo prodotto ready-to-cook, alla stessa stregua di quello che già avviene per altre tipologie di ortaggi, come gli spinaci pronti da cuocere”. – Quali processi di lavorazione dunque implicherebbero per essere impiegati nell’industria di IV Gamma? “In generale, il processo produttivo della IV Gamma prevede una serie di fasi che vanno dalle preliminari operazioni da adottare subito dopo la raccolta della materia prima, fino alla fase di confezionamento e stoccaggio del prodotto finito in ambiente refrigerato, comprendendo operazioni di trasporto, selezione, mondatura, lavaggio, sanificazione e asciugatura. Considerando che i baccelli di fava rappresentano, ad oggi, uno scarto di lavorazione del settore delle fave novelle trasformate, come quelle surgelate, i processi di lavorazione dei baccelli per la IV Gamma andrebbero adattati predisponendo un processo produttivo che inizi come una sorta di ramificazione del processo produttivo pre-esistente”. – Esistono allo stato attuale sistemi di recupero di questi scarti che possano trasformarli in sottoprodotto? “Sono disponibili sistemi di recupero che permettono di estrarre, da diverse matrici vegetali, composti di interesse nutrizionale ed industriale come polifenoli, antiossidanti, inulina e altri, da utilizzare come integratori e/o ingredienti ed additivi per l’industria alimentare. In questo contesto, sarebbe ipotizzabile considerare i baccelli di fava come matrice da cui estrarre bio-composti da valorizzare. Tuttavia, un percorso di valorizzazione di successo dei baccelli di fava dovrebbe puntare a non considerarli un sottoprodotto dell’industria alimentare, bensì un potenziale alimento funzionale di cui beneficiare integralmente anche in termini di aspetti edonistici”. – Che valore aggiunto potrebbero generare rispetto ad ora, che sono solo uno scarto e dunque un costo? “I baccelli di fava presentano un elevato valore nutrizionale, che risulta sconosciuto alla quasi totalità dei consumatori di prodotti ortofrutticoli. Pertanto, un prodotto di IV Gamma a base di baccelli di fava avrebbe un alto valore aggiunto anche grazie alla possibilità di comunicare le peculiarità del prodotto attraverso opportune etichette nutrizionali e consigli per l’utilizzo”. – Potrebbero entrare ancora di più un nuovo prodotto di V Gamma? “Come accennato, i baccelli di fava richiedono una fase di cottura prima di poter essere consumati come alimento. Pertanto, il segmento dei prodotti di V Gamma potrebbe essere a maggior ragione idoneo a valorizzare questo ortaggio inusuale come nuovo prodotto ad alto contenuto di servizio. Sono convinto che la possibilità di proporre nuove referenze di IV e V Gamma utilizzando ortaggi inusuali, come ad esempio i baccelli di fava, rappresenta un’opportunità che incontrerebbe il favore dei consumatori sempre alla ricerca di prodotti agroalimentari genuini e legati al territorio e/o alla tradizione gastronomica”. Articolo tratto dal sito italiafruit.net, fonte Ufficio Stampa dell'Università di Bari Sapevate che la fava fresca (o fava novella) ha un elevato contenuto di vitamina C e di L-dopa (levo-diidrossifenilalanina), un precursore naturale del neurotrasmettitore dopamina (viene utilizzato dai pazienti affetti dal morbo di Parkinson)? È quanto è emerso da una ricca caratterizzazione qualitativa di sei genotipi di fava contenuta in un articolo pubblicato dalla rivista internazionale “Agriculture”.
Come è noto, i legumi rivestono un ruolo importante sia per la sostenibilità ambientale in agricoltura (grazie ai batteri azotofissatori che vivono in simbiosi con le radici delle leguminose favorendo l’arricchimento in azoto del terreno), sia per la nutrizione umana (grazie al loro contenuto di proteine, carboidrati e minerali). Come altri legumi, la fava (Vicia faba L. var. major Harz) può essere consumata sia allo stato secco, sia come ortaggio (seme immaturo: fava novella). Tuttavia, le peculiarità della fava non sono adeguatamente apprezzate, probabilmente a causa della presenza di vicina e covicina, fattori anti-nutrizionali che possono causare il favismo (sintomatologia di emolisi acuta) nei soggetti predisposti. Al fine di ottenere maggiori informazioni in merito alle caratteristiche qualitativo-nutrizionali delle fave novelle, presso l’Azienda sperimentale “La Noria” (Mola di Bari) dell’Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari (Consiglio Nazionale Ricerche - CNR-ISPA), sono state caratterizzate quattro varietà locali di fava (Cegliese, Iambola, San Francesco e FV5), nell’ambito delle attività del progetto “Biodiversità delle Specie Orticole della Puglia (BiodiverSO)” finanziato con i Programmi di Sviluppo Rurale della Puglia 2007-2013 e 2014-2020. Sui semi freschi (fave novelle) sono stati determinati i parametri qualitativo-nutrizionali, confrontandoli anche con quelli di due cultivar commerciali (Aguadulece supersimonia e Viola extra precoce). I risultati della ricerca sono stati pubblicati sull’ultimo numero della rivista scientifica internazionale “Agriculture” dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali e Territoriali dell’Università degli Studi di Bari e del Cnr-ISPA. Lo studio evidenzia l’elevata concentrazione di vitamina C in tutti i genotipi, nonché la presenza di un alto contenuto di L-dopa, specialmente nella varietà Cegliese, senza differenze tra i genotipi in termini di produzione areica e di dimensioni dei semi immaturi. Le conclusioni dello studio, che presenta anche i dati relativi a proteine, solidi solubili totali, pH, acidità titolabile, colore, clorofille, fenoli e carotenoidi, mettono in risalto le peculiari caratteristiche delle fave novelle e le loro potenzialità per la salute umana. Storicamente i legumi “da passeggio” erano presenti in moltissime civiltà antiche. Pensiamo ai ceci abbrustoliti che venivano consumati nei teatri e nelle agorà della Roma antica, tanto famosi da dare il nome a…. Cicerone (questo per la forma del suo naso), e rimasti nella tradizione gastronomica di molte regioni del Sud Italia (in Calabria prendono il nome di calia). Adesso li troviamo nei negozi del biologico e in molti supermercati, ma si possono tranquillamente fare in casa, ottimi come snack da portare al lavoro o per accompagnare un aperitivo. CECI ABBRUSTOLITI Un altro legume antichissimo “da passeggio” è il lupino, presente nelle tavole della Grecia contadina nell’ultimo giorno di ogni mese, per celebrare Ecate, la dea dell’oltretomba. Un tempo poco considerato, oggi è rivalutato per la sua ricchezza proteica e le numerosissime qualità salutistiche. I lupini mettono allegria, spensieratezza, ci riportano alle sagre di paese, ai venditori nei bordi delle strade, o al loro consumo nei cinematografi al posto degli attuali popcorn. Si possono preparare anche in casa, ma ci vuole tempo e pazienza, e li possiamo trovare già pronti al supermercato in salamoia o sottovuoto. E che dire delle carrube? Legumi atipici, venduti abitualmente nelle feste paesane, che per molti bambini rappresentavano una dolce merenda al posto del cioccolato, da tenere in tasca per gustarla un pezzetto alla volta. Adesso sono una rarità, o meglio, viene utilizzata soprattutto la farina, quella ricavata dai semi (chiamati carati), che è molto costosa e usata come addensante. Non parliamo poi delle arachidi, le cosiddette noccioline americane, snack per eccellenza, legumi coltivati in Italia già nella seconda metà dell’800 a partire dal Piemonte. Una volta era abitudine tenerle nelle tasche, per averle pronte in accompagnamento ad un buon bicchiere di vino al bar, o per consumarle in compagnia. Oggi le arachidi, specie tostate e salate, le troviamo ovunque, e la quasi totalità arriva dall’estero, ma se ne producono anche in Italia. Visionate quindi l’etichetta, le coltivazioni sono ancora limitate, ma stanno aumentando in maniera consistente. Prediligete quelle intere, tostate, ma senza sale. Esistono inoltre mix di legumi disidratati e tostati veramente ottimi come snack, da spiluccare durante il lavoro o insieme ad un aperitivo: sono buonissimi, sani e sicuramente col tempo riscuoteranno sempre più successo. MIX DI LEGUMI TOSTATI Finalmente è arrivata la primavera, stagione di fave e piselli. Non possono certo essere considerati legumi da passeggio, però fave e pecorino è un classico abbinamento da consumare all’aperto per il picnic del 1° maggio. Inoltre, un tempo, in alcune regioni del meridione, nel periodo di massima produzione negli orti famigliari, i piselli e le fave fresche sostituivano la frutta, sia a fine pasto che durante la merenda.
Le tradizioni ci insegnano molte cose, a volte basta riscoprirle e farne tesoro. Leopoldo Simonato – Legumi che passione Oggi vogliamo proporvi la lettura di questo interessante articolo tratto dal periodico Fondamentale, della Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro (Numero 2 - Aprile 2021) LEGUMI, NON SOLO UN CONTORNO Freschi, secchi in scatola o surgelati, i legumi sono alimenti versatili, alleati della salute e dell’ambiente, di cui dovremmo incrementarne il consumo Con l’arrivo della primavera piselli, fave e, a partire da giugno, anche fagioli meritano di essere annoverati tra i vegetali freschi di stagione. Insieme a ceci, cicerchie, lenticchie, lupini e soia sono poi disponibili tutto l’anno se consumati secchi, in scatola o surgelati. Sono alimenti che si prestano alle più fantasiose preparazioni e considerarli un semplice contorno è un vero peccato per la tavola e per la salute. La tradizione mediterranea li vede accompagnati a primi piatti con pasta o cereali in chicco, oppure come componente di un secondo. Mai però porre limiti alla fantasia in cucina. Possono infatti essere frullati per diventare salse o puree, trasformati in burger o polpette, o ancora consumati freddi in gustose insalate. Possono perfino essere ridotti in farine utilizzate come ingredienti di diverse preparazioni o trasformati in vari formati di pasta. Dal punto di vista nutrizionale sono tutt’altro che un cibo “povero”, trattandosi di buone fonti di proteine, fibra alimentare, alcune vitamine del gruppo B e minerali, tra cui ferro e zinco. Queste caratteristiche nutrizionali non subiscono significative alterazioni in nessun processo di conservazione, perciò non ci sono ragioni per non consumarli durante tutto l’arco dell’anno, almeno tre porzioni alla settimana. Secondo le linee guida per una sana alimentazione redatte dal CREA, una porzione di legumi freschi, surgelati o in scatola, corrisponde a 150 grammi, mentre per i legumi secchi la porzione è pari a 50 grammi. Ci sono evidenze convincenti che un consumo regolare di legumi contribuisca a ridurre il rischio di sviluppare obesità e patologie cronico degenerative, tra cui i tumori. Non è semplice identificare il ruolo dei singoli componenti responsabili di questi effetti positivi per la salute, ma è probabile che la scelta dei legumi sia indicativa in generale di un’alimentazione più sana, varia ed equilibrata. Se non si è abituati a mangiare legumi o si hanno sensibilità particolari è possibile che il loro consumo si associ a produzione di gas intestinale. Una soluzione potrebbe essere quella di introdurre inizialmente prodotti decorticati, come piselli o lenticchie rosse, oppure eliminare le bucce utilizzando un passaverdure. In questo modo si facilita anche la digestione per i bambini. Un altro aspetto che spesso disincentiva il consumo di questi alimenti è il tempo necessario per la preparazione, considerando la fase di ammollo e di cottura dei legumi secchi. Ma, come già ricordato, si possono utilizzare anche quelli in scatola, avendo cura di sciacquarli sotto acqua corrente per eliminare l’eccesso di sale contenuto nei liquidi, oppure surgelati. Un’altra soluzione è cuocere una quantità abbondante di legumi per consumarli anche nei giorni successivi, oppure congelarne una parte e averli subito disponibili in freezer. E in questo periodo piselli e fave sono disponibili anche freschi, per preparare primi veloci o insalate. Dopo aver raccontato la storia della particolarissima lenticchia nera di Calasetta, oggi parliamo delle altre lenticchie nere coltivate in Italia. Sono di origine asiatica, anche se molte arrivano dal Canada e dalla Turchia (fate quindi attenzione all’etichetta), e ne esistono di diverse forme e dimensioni. Le più conosciute sono chiamate “beluga” perché piccole, rotonde e lucide, e assomigliano quindi al famoso caviale nero. La coltivazione in Italia è piuttosto marginale e limitata a poche regioni. La più rinomata è senza dubbio la lenticchia nera delle Colline Ennesi, da pochi anni diventata anche un presidio Slow Food, e il paese di Leonforte è il suo centro, conosciuto anche per un altro legume, la Fava larga, altro presidio. Anche se storicamente è il territorio dell’entroterra ennese il più vocato alla loro coltura, vengono prodotte abitualmente anche in altre province siciliane. La lenticchia delle Colline Ennesi presenta il tegumento nero, ma una volta cotta assume un bell'aspetto brunito, con un contenuto di ferro e proteine notevole. LENTICCHIA NERA DELLE COLLINE ENNESI Piccole coltivazioni di lenticchie nere le troviamo in Abruzzo, quali la lenticchia nera delle Rocche (AQ), e quella di S. Stefano di Sessanio (secondaria rispetto alla loro fantastica lenticchia chiara). In provincia di Viterbo abbiamo la lenticchia nera della Tuscia, a Sorano (GR) la lenticchia nera maremmana e, nel cuore del Parco Nazionale del Cilento (SA), la lenticchia nera degli Alburni. Le lenticchie nere presentano un sapore intenso, leggermente aromatico, si sposano perfettamente con il pesce, gamberi e baccalà in modo particolare, e con i sapori agrumati, zenzero compreso. Risultano ottime anche per la classica zuppa con erbaggi di campo, o verdure di stagione. Non necessitano di un ammollo preventivo (ma uno breve comunque lo consigliamo) e cuociono in poco tempo (circa 40 minuti). LENTICCHIA NERA BELUGA Ecco alcune aziende di riferimento delle lenticchie citate (naturalmente ce ne sono altre): Lenticchia nera di Calasetta [email protected] – Calasetta (CI) Lenticchia nera delle Colline Ennesi (Presidio Slow Food) Referente produttori [email protected] – Leonforte (EN) Lenticchia nera delle Rocche – [email protected] – Rocca di Mezzo (AQ) Lenticchia nera della Tuscia – [email protected] – Grotte di Castro (VT) Lenticchia nera tipo Beluga – [email protected] – Rapolano Terme (SI) Lenticchia nera di Sorano – [email protected] – Sorano (GR) Ulteriori informazioni su alcune varietà le potete trovare nelle schede complete inserite nel sito. |
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June 2021
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