La coltivazione dei piselli a Peseggia (frazione del comune di Scorzè in provincia di Venezia), chiamati nel dialetto locale “bisi”, ha avuto un ruolo assai importante sia nell’economia domestica che nello sviluppo sociale e culturale di recupero delle tradizioni gastronomiche veneziane, fino al riconoscimento di prodotto De.Co., vista la loro ben consolidata fama. LOCANDINA PRIMA SAGRA DEI PISELLI DI PESEGGIA - 1933 E nel Veneto il pisello ha trovato una terra d’elezione, sia popolare che nobiliare fin dal Medioevo, come dimostrano alcune opere stampate a Venezia dal XIV secolo, compreso un famoso elogio al pisello del ‘600. Pensiamo al piatto di risi e bisi consumato dal Doge nel giorno di S. Marco, con il popolo che si accontentava di aggiungere qualche pisello nella “fortaja de San Marco”, sostanziosa frittata con erbe di campo, cipolla ed altro, da consumare in campagna, all’aperto. Nella cucina contadina si utilizzava anche il baccello, molti produttori vendevano i piselli già “destegolài”, quindi solo i grani, e i baccelli rimasti si cuocevano e si macinavano, oppure, sminuzzati, si friggevano per uso familiare. Ancora adesso, se i piselli non hanno avuto concimazioni chimiche, l’utilizzo dei baccelli per il brodo o per preparare un passato è davvero consigliato. Molti sono anche i proverbi che ricordano questo legume primaverile veneto: Treviso la xe un biso, ma piena de spassiso Sèmena el biso, sèmena el fasiol, te ghe ne gavarà finché te ne vol El pol bòjar finché el vol, ma un fasiol no sarà mai un biso El vento de marso strassa el biso descalso (non infrascato) ...e i modi di dire: Intrigar bisi oppure ròmpare i bisi (ovvero scocciare, disturbare) Adio bisi (quando una cosa va a finire) ….le filastrocche: Risi, bisi, moscatei, tutti quanti xe porsei, fora che mi, fora che ti, el più porseo te si tì …. e tra le poesie dedicate al biso de Peseggia: …i bisi de Pesegia i xe ‘na maravegia, i caressa el palato, i sbrissa nel gargato, i porta l’alegressa, l’amor e la dolcessa, del sol de primavera che impalma la nostra tera Una gustosa ricatta da provare è il Tortino di piselli di Peseggia (tratta da I Bisi di Peseggia di Emanuele Bellò) Ingredienti 4 manciate di piselli di Peseggia, 2 patate, una cipolla, panna, latte, noce moscata, sale, pangrattato, 2 cucchiai di parmigiano reggiano grattugiato, olio extravergine di oliva Preparazione Far bollire le patate fino a quando non sono un po' morbide, in modo che la forchetta affondi appena nella patata. Fate sbollentare i piselli e ripassateli in padella con la cipolla tritata e stufata in olio e uno spicchio d'aglio, se vi piace. frullate grossolanamente le patate con quattro cucchiai di panna. Aggiungetevi il pangrattato o il latte per regolarne la consistenza, che deve essere morbida. Frullate finemente a parte i piselli e incorporateli al composto di patate aggiungendovi il formaggio e una spolverata di noce moscata, e regolate di sale e di pepe. Riempite gli stampini unti di olio e ricoprite lo strato finale con pangrattato. Infornate a 180° per circa 20 minuti. Lasciate raffreddare prima di capovolgere gli stampini e serviteli tiepidi. Abbiamo fatto due chiacchiere in compagnia di Lorenzo Michielan, presidente della Pro Loco di Scorzè e grande personaggio dell’enogastronomia veneta.
D. Quando nasce e si sviluppa la coltivazione dei piselli a Peseggia? R. È certo e documentato che i piselli a Peseggia si coltivavano già ai tempi della Serenissima Repubblica, ma la produzione si sviluppa a cavallo degli anni ‘20/’30, con la prima festa a loro dedicata realizzata nel 1933. Il prodotto veniva venduto fresco all’ingrosso, dentro sacchi di juta, per i mercati di Mestre, Venezia e Treviso. Nel 2011 è stata costituita la De.Co comunale dei produttori dei Bisi di Peseggia. Quand’è il periodo di raccolta di questo prodotto e la famosa Festa dei bisi de Peseggia? La raccolta è determinata naturalmente dall’andamento climatico, comunque tra la seconda quindicina di maggio e la prima di giugno. In questo periodo si svolge anche la nostra bella festa, che purtroppo neanche quest’anno abbiamo potuto realizzare in forma completa. Quanti sono i produttori coinvolti e come si può acquistare il prodotto? I produttori attualmente sono 12, ed il prodotto fresco si può acquistare direttamente in azienda (trovate i nominativi nel sito legumichepassione.com) oppure nei mercati locali. Si sta inoltre perfezionando anche una produzione di piselli conservati, ideali per le loro caratteristiche organolettiche, derivanti dalla natura del terreno e dall'abbondanza d'acqua. Quali sono gli abbinamenti ideali ed i piatti consigliati per assaporare al meglio questi piselli? I piselli di Peseggia, grazie alla loro qualità riconosciuta di dolcezza e gusto, si sposano perfettamente con molte preparazioni a base di pesce, oltre ai due piatti classici della tradizione veneta, risi e bisi e le tagliatelle, fatte rigorosamente a mano, in casa. In queste preparazioni, una parte dei piselli appena lessati viene frullata per creare una crema che servirà come base. Esiste una sinergia con i ristoratori locali, che diventano informatori e promotori di questo prodotto? Certamente, e con molta soddisfazione, i nostri ristoratori tengono in considerazione questa eccellenza locale, che può diventare un motivo di collaborazione e pubblicità reciproca. Intervista di Leopoldo Simonato per Legumi che passione Il legame fra seme e territorio ha una forte rilevanza culturale ed economica. Le piccole produzioni locali rappresentano l’identità culturale di una comunità e la loro valorizzazione rientra in una strategia speculare rispetto all’omologazione della produzione industriale. Noi vogliamo far emergere questa grande biodiversità dei legumi italiani, raccontandovi le loro storie e la loro importanza in ogni regione. Leopoldo Simonato – Legumi che passione Trenta kilogrammi! È la quantità prodotta di questo legume, quasi estinto, di Villanova Monferrato, paese di 1800 abitanti, situato in provincia di Alessandria
Un quantitativo così esiguo da sembrare quasi irrilevante, ma questa è la biodiversità. Attorno a questo fagiolo si intrecciano storie di persone, di cucine, di territori, di comunità, di scambi gratuiti, che rendono estremamente importante il recupero di tali antiche varietà! Faseu d’la prasa, “fagiolo della fretta”. Così chiamato perché il suo ciclo produttivo, dalla semina al raccolto, risulta essere breve, di circa 60 giorni. Questo territorio pianeggiante ha ospitato la sua coltivazione almeno dal XIX secolo e fino all’immediato dopoguerra. Tutti in paese coltivavano e producevano questo particolare fagiolo, sia negli orti per l’autoconsumo, che per la vendita e commercializzazione nella vicina città di Casale Monferrato, ma anche nei mercati di Milano. Gli anziani del paese ricordano che i fagioli venivano posti in cesti di vimini intrecciati a mano e trasportato su carretti per le varie destinazioni. Dagli anni ‘50 la produzione è stata progressivamente abbandonata a vantaggio della risicoltura, che oggi interessa il 90% delle coltivazioni locali, e oggi è quasi estinta. “Ma dieci anni fa - ci racconta il signor Fabrizio Bremide, custode e sindaco di Villanova Monferrato - il mio amico Antonio Costanzo, ultimo produttore rimasto in paese, mi diede i semi come passaggio di consegne, affinché il seme e con lui la storia, non andasse perduta. Da allora li coltivo nell’orto di casa, selezionando negli anni le migliori sementi per ottenere una qualità sempre migliore. Il fagiolo de la prasa rischia di scomparire perché siamo rimasti in due a possedere questi semi. Il mercato richiede varietà più produttive, e magari con semi più grossi o colorati, ma soprattutto i terreni un tempo adibiti a questa coltura sono stati assorbiti dalla risicoltura, come l’intero territorio. La speranza è di mantenere viva questa produzione di nicchia, e da qualche anno sono affiancato anche dalla mia fidanzata, Lisa Cogo, che nonostante sia nata e cresciuta in una metropoli come Milano si è appassionata alla valorizzazione di questa eccellenza del territorio” Nello specifico, il faseu d’la prasa è una varietà nana, con baccello giallo, fiore rosato, seme rosato da fresco ed un particolare “occhio” bianco cerchiato di nero, che una volta essiccata, assume un colore marrone lucido. Tradizionalmente si semina a maggio e si raccoglie a luglio , esclusivamente a mano. Presenta un sapore dolce e richiede una cottura minima di almeno un’ora. Essendo la zona risicola, il piatto tradizionale consumato abitualmente dove risulta protagonista questo fagiolo è la “panissa”, ricetta tipica piemontese a base di riso e fagioli (https://www.legumichepassione.com/ricette-piemonte.html), oltre alla classica pasta (fatta in casa) e fagioli. Una curiosità: nel dialetto locale si usa dire “Te c’ma il faseu d’la prasa”, sei come il fagiolo della fretta, per dire “sei proprio inquieto e non stai mai fermo!”. Abbiamo intervistato la signora VERA VARRONE, presidente e referente dei produttori del pisello Centogiorni, presidio Slow food :
D. Buongiorno Vera, come e quando nasce il recupero di questa antica varietà? Da quando si coltiva in zona? E perché questo nome? R. Il pisello Centogiorni viene prodotto nell’area vesuviana da almeno un secolo, anche se la coltivazione di questo legume nei nostri territori è antichissima, già Greci e Romani ne facevano buon uso. Nel 1781, il grande cuoco filosofo Vincenzo Corrado sottolineava nel suo libro “sono i piselli gustosissimi quando sono verdi e teneri, nella nostra Napoli se ne fa uso grandissimo”. Fino agli anni ‘70 era molto diffuso, poi la corsa alle varietà più facili e produttive per l’industria hanno causato il suo progressivo abbandono. Grazie ad alcuni contadini locali che ne avevano salvato il seme, nel 2018 è iniziato un progetto di recupero e coltivazione, che lo ha portato a diventare un presidio Slow Food e ad essere inserito nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Campania. Un ruolo virtuoso l’ha avuto il comune di Trecase, storicamente il più votato a questa coltivazione, nella persona del sindaco Raffaele De Luca che, insieme a Patrizia Spigno (responsabile dei presidi Slow Food Campania) e Maria Lionelli, fiduciaria della condotta Vesuvio, hanno creato un gruppo di piccoli produttori, aiutandoli a recuperare una piccola quantità di semi per iniziare, ed oggi sono in diciotto a formare l’Associazione Pisello Centogiorni del Vesuvio. Non ultimo, la figura di Fofò Ferriere, “ristorattore” e ambasciatore di questo grande prodotto. Il nome deriva dal periodo medio del suo ciclo, appunto di 100 giorni circa, anche se oggi, a causa del cambiamento climatico, si è un po' allungato. Quando si semina per essere raccolto così presto? Un tempo la semina veniva fatta nei giorni successivi alla festa della Madonna della Neve, il 22 ottobre, seguendo il lunario agricolo-contadino, oggi si inizia ai primi di novembre, sempre in pieno campo come una volta, per essere raccolto, a scalare, a mano, dalla metà di marzo a maggio. Dove e come si può acquistare il prodotto fresco? Esistono anche prodotti confezionati? I piselli freschi si possono acquistare, da questa settimana, direttamente tramite il sito pisellocentogiornidelvesuvio.com o nella pagina facebook pisellocentogiorni, oppure ogni prima domenica del mese, da marzo a maggio, al Mercato della Terra a Boscoreale. Si possono poi comprare i piselli precotti in acqua e sale o in crema di baccelli attraverso la piattaforma Foodscovery. Quali sono le sue principali caratteristiche ? L’estrema dolcezza e delicatezza, davvero unica, e una cottura molto breve, anche se è da provare pure crudo. Inoltre la sua precocità grazie al clima e al terreno, che la rendono una “vera” primizia, non forzata. Un tempo, i piselli secchi venivano ridotti in farina, sia per la conservazione che per l’importante valore nutrizionale. Qual è allora la ricetta tradizionale per gustare al meglio questa primizia? Sicuramente la pasta e piselli alla napoletana (trovate la ricetta all’indirizzo https://www.legumichepassione.com/ricette-campania.html), anche se in zona viene proposta abitualmente anche col baccalà o con le seppie, un abbinamento che troviamo già negli antichi ricettari Romani. Dato che ci è venuta fame, ci indichi un paio di ristoranti della zona dove poterli gustare al meglio, sicuri della loro autenticità Sono parecchi i ristoranti del territorio coinvolti nel processo di tutela e valorizzazione dei piselli Centogiorni, indispensabili per farli conoscere insieme alle altre eccellenze del territorio vesuviano, in particolare direi il ristorante La Lanterna, a Somma Vesuviana, e il Garum, a Pompei, entrambi inseriti nella guida Osterie d’Italia, Slow Food Editore. Intervista di Leopoldo Simonato per Legumi che passione La salvaguardia delle antiche varietà di legumi, che progressivamente stanno scomparendo, viene affidata alla passione, alla tenacia e all’amore per il proprio territorio degli “agricoltori custodi”, che si impegnano a conservare quei semi che hanno caratterizzato un tempo passato, e che potranno rappresentarne uno futuro, anche prossimo. Ogni singola varietà è identificabile, possiede un nome locale, è caratterizzata da un adattamento alle condizioni ambientali e di coltivazione di una determinata area, ed è strettamente associata agli usi, alle conoscenze, alle abitudini, ai dialetti e alle ricorrenze della popolazione locale che l’ha sviluppata e ne continua la coltivazione. Conservare la biodiversità è uno strumento per salvaguardare l’ambiente, il paesaggio storico, e riconoscere un’identità alla popolazione. Può diventare una nuova risorsa economica per il territorio, un volano per la produzione di beni e servizi. Conosciamo allora da vicino questi “angeli” insieme al legume che proteggono! INTERVISTA CON ELISABETTA FIORITO, agricoltrice custode di Sannicola, in provincia di Lecce, che ha ripreso con passione e tenacia la coltivazione del pisello riccio di Sannicola, un’antica varietà che stava oramai scomparendo. Potremmo definirlo “Il primo legume dell’anno”, una primizia che si inizierà a raccogliere da metà marzo. D. Buongiorno Elisabetta, per prima cosa volevo chiederti: cosa ti ha spinto a diventare “custode” di questo legume?
R. Sono partita dall’amore per la mia terra, che mi ha spinto alla ricerca di varietà locali che non si coltivano più, ma che possiedono un notevole valore, dato dalla rusticità della pianta, dalla precocità della raccolta, e soprattutto dalla bontà del prodotto fresco, di una dolcezza impareggiabile. Da quanto si coltiva in zona il pisello riccio di Sannicola? In quali comuni? Sicuramente da centinaia d’anni, oggi si stanno recuperando documenti storici che ne accertino la presenza e la coltivazione in loco. Questa varietà nana, rustica e compatta, si coltivava nei comuni di Sannicola, Alezio e Nardò, almeno fino agli anni ‘70/’80, utilizzando terreni marginali, anche rocciosi, e senza bisogno di acqua. Quando avviene la semina? E quando si raccoglie? Un tempo c’era l’usanza di seminarlo dopo la Fiera agricola di San Simone, il 28 ottobre, dove, in quell’occasione, si potevano anche acquistare le sementi. Oggi si inizia dai primi di novembre fino a dicembre, per raccoglierlo poi da metà marzo a metà maggio, a scalare. In alcuni anni è stato raccolto anche a febbraio! Tutto manualmente. Una primizia assoluta, e non “costruita”. Quanti sono i produttori oggi? Che produzione fanno? Si può acquistare il prodotto fresco? Nei ristoranti è presente? Veri produttori, nel senso di aziende agricole non ce ne sono, io ne produco due quintali, altri contadini riescono a portare poche quantità nei mercati locali, il rimanente, presente negli orti famigliari, è solo per autoconsumo. Per il momento quindi non è possibile acquistare il prodotto se non in zona. Nei ristoranti del territorio si può trovare, ma occasionalmente, nel periodo primaverile. Esiste una sagra o festa dedicata al pisello riccio di Sannicola? Non esiste ancora una sagra dedicata, ma stiamo cercando di poterla organizzare nella prossima primavera, nel periodo di massima produzione del prodotto fresco, per promuoverlo, farlo conoscere ed assaggiare. Essendo tu Elisabetta anche una bravissima cuoca, ci vuoi indicare qualche ricetta della tradizione salentina? Un tempo, quando le produzioni abbondavano, i piselli freschi venivano consumati crudi, a fine pasto, al posto della frutta, insieme alle fave o ad altri ortaggi. Era chiamato subbra taula (ovvero sopra la tavola, nome di derivazione spagnola), ed essendo dolcissimi, anche i bambini ne erano ghiotti! Una ricetta che rispetta la tradizione contadina è la zuppa di piselli con l’uovo: “In una padella imbiondire una cipolla tritata con olio e un po’ d’acqua, unire poi i piselli per farli innamorare, quindi coprire con altra acqua e salare q.b.. Dopo 10 minuti aggiungere due uova sbattute, mescolare bene e far cuocere per altri cinque minuti. Infine aggiungere pepe e prezzemolo tritato, con un altro “giro di buon olio del Salento”, facoltativo, come l’aggiunta di crostini tostati”. L’altra ricetta prevedeva l’uso dei piselli di Sannicola secchi (erano quelli che rimanevano sulle piante, oppure essiccati in annate quando la produzione era particolarmente abbondante), che venivano cotti sulla classica pignata, ed erano chiamati piselli a Cecamariti (si possono trovare la ricetta e la curiosa storia su https://www.puglia.com/piselli-a-cecamariti-curiosa-specialita-salentina/). Intervista di Leopoldo Simonato per Legumi che passione |
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June 2021
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