La coltivazione dei piselli a Peseggia (frazione del comune di Scorzè in provincia di Venezia), chiamati nel dialetto locale “bisi”, ha avuto un ruolo assai importante sia nell’economia domestica che nello sviluppo sociale e culturale di recupero delle tradizioni gastronomiche veneziane, fino al riconoscimento di prodotto De.Co., vista la loro ben consolidata fama. LOCANDINA PRIMA SAGRA DEI PISELLI DI PESEGGIA - 1933 E nel Veneto il pisello ha trovato una terra d’elezione, sia popolare che nobiliare fin dal Medioevo, come dimostrano alcune opere stampate a Venezia dal XIV secolo, compreso un famoso elogio al pisello del ‘600. Pensiamo al piatto di risi e bisi consumato dal Doge nel giorno di S. Marco, con il popolo che si accontentava di aggiungere qualche pisello nella “fortaja de San Marco”, sostanziosa frittata con erbe di campo, cipolla ed altro, da consumare in campagna, all’aperto. Nella cucina contadina si utilizzava anche il baccello, molti produttori vendevano i piselli già “destegolài”, quindi solo i grani, e i baccelli rimasti si cuocevano e si macinavano, oppure, sminuzzati, si friggevano per uso familiare. Ancora adesso, se i piselli non hanno avuto concimazioni chimiche, l’utilizzo dei baccelli per il brodo o per preparare un passato è davvero consigliato. Molti sono anche i proverbi che ricordano questo legume primaverile veneto: Treviso la xe un biso, ma piena de spassiso Sèmena el biso, sèmena el fasiol, te ghe ne gavarà finché te ne vol El pol bòjar finché el vol, ma un fasiol no sarà mai un biso El vento de marso strassa el biso descalso (non infrascato) ...e i modi di dire: Intrigar bisi oppure ròmpare i bisi (ovvero scocciare, disturbare) Adio bisi (quando una cosa va a finire) ….le filastrocche: Risi, bisi, moscatei, tutti quanti xe porsei, fora che mi, fora che ti, el più porseo te si tì …. e tra le poesie dedicate al biso de Peseggia: …i bisi de Pesegia i xe ‘na maravegia, i caressa el palato, i sbrissa nel gargato, i porta l’alegressa, l’amor e la dolcessa, del sol de primavera che impalma la nostra tera Una gustosa ricatta da provare è il Tortino di piselli di Peseggia (tratta da I Bisi di Peseggia di Emanuele Bellò) Ingredienti 4 manciate di piselli di Peseggia, 2 patate, una cipolla, panna, latte, noce moscata, sale, pangrattato, 2 cucchiai di parmigiano reggiano grattugiato, olio extravergine di oliva Preparazione Far bollire le patate fino a quando non sono un po' morbide, in modo che la forchetta affondi appena nella patata. Fate sbollentare i piselli e ripassateli in padella con la cipolla tritata e stufata in olio e uno spicchio d'aglio, se vi piace. frullate grossolanamente le patate con quattro cucchiai di panna. Aggiungetevi il pangrattato o il latte per regolarne la consistenza, che deve essere morbida. Frullate finemente a parte i piselli e incorporateli al composto di patate aggiungendovi il formaggio e una spolverata di noce moscata, e regolate di sale e di pepe. Riempite gli stampini unti di olio e ricoprite lo strato finale con pangrattato. Infornate a 180° per circa 20 minuti. Lasciate raffreddare prima di capovolgere gli stampini e serviteli tiepidi. Abbiamo fatto due chiacchiere in compagnia di Lorenzo Michielan, presidente della Pro Loco di Scorzè e grande personaggio dell’enogastronomia veneta.
D. Quando nasce e si sviluppa la coltivazione dei piselli a Peseggia? R. È certo e documentato che i piselli a Peseggia si coltivavano già ai tempi della Serenissima Repubblica, ma la produzione si sviluppa a cavallo degli anni ‘20/’30, con la prima festa a loro dedicata realizzata nel 1933. Il prodotto veniva venduto fresco all’ingrosso, dentro sacchi di juta, per i mercati di Mestre, Venezia e Treviso. Nel 2011 è stata costituita la De.Co comunale dei produttori dei Bisi di Peseggia. Quand’è il periodo di raccolta di questo prodotto e la famosa Festa dei bisi de Peseggia? La raccolta è determinata naturalmente dall’andamento climatico, comunque tra la seconda quindicina di maggio e la prima di giugno. In questo periodo si svolge anche la nostra bella festa, che purtroppo neanche quest’anno abbiamo potuto realizzare in forma completa. Quanti sono i produttori coinvolti e come si può acquistare il prodotto? I produttori attualmente sono 12, ed il prodotto fresco si può acquistare direttamente in azienda (trovate i nominativi nel sito legumichepassione.com) oppure nei mercati locali. Si sta inoltre perfezionando anche una produzione di piselli conservati, ideali per le loro caratteristiche organolettiche, derivanti dalla natura del terreno e dall'abbondanza d'acqua. Quali sono gli abbinamenti ideali ed i piatti consigliati per assaporare al meglio questi piselli? I piselli di Peseggia, grazie alla loro qualità riconosciuta di dolcezza e gusto, si sposano perfettamente con molte preparazioni a base di pesce, oltre ai due piatti classici della tradizione veneta, risi e bisi e le tagliatelle, fatte rigorosamente a mano, in casa. In queste preparazioni, una parte dei piselli appena lessati viene frullata per creare una crema che servirà come base. Esiste una sinergia con i ristoratori locali, che diventano informatori e promotori di questo prodotto? Certamente, e con molta soddisfazione, i nostri ristoratori tengono in considerazione questa eccellenza locale, che può diventare un motivo di collaborazione e pubblicità reciproca. Intervista di Leopoldo Simonato per Legumi che passione Le semine dei ceci sono iniziate indicativamente a marzo (anche se alcune varietà vengono seminate già nel tardo autunno), e a maggio inizia la loro fioritura, con la raccolta del prodotto secco che è prevista tra luglio e agosto. Oggi risulta tra le colture maggiormente in crescita, alla luce dei nuovi sistemi agricoli e della politica di sviluppo rurale, che affida alle leguminose un ruolo centrale sia per la sostenibilità ambientale (rotazione delle colture), che per il recupero delle produzioni agroalimentari d’eccellenza nazionale. La sua coltivazione è distribuita su oltre 26.000 ettari (fonte 2019) e raggiunge i 475.000 quintali: per fare un raffronto, nel 2008 erano 5.265 gli ettari e 65.000 i quintali prodotti. Oggi il cece risulta essere la terza leguminosa più prodotta nel mondo, dopo soia e fagiolo. L’Italia nella produzione si posiziona al 17° posto, seconda in Europa dopo la Spagna, con le coltivazioni biologiche in crescita costante. Tradizionalmente questo legume viene coltivato nelle regioni centro -meridionali, con rare eccezioni al nord Italia (un tempo era però prodotto in tutte le regioni). Ne esistono numerose varietà ed ecotipi locali, alcuni di grande pregio gastronomico e storico. Ecco un elenco diviso per regione, tra ceci chiari, rosa, rossi e neri, ognuno con caratteristiche e peculiarità uniche, da conoscere e provare. Di alcune delle varietà indicate, potrete trovare nel sito la scheda descrittiva (https://www.legumichepassione.com/cece.html) : CECE BIANCO ABRUZZO CECE DI NAVELLI – AQ – Presidio Slow Food CECE DI CAPITIGNANO – AQ CECE DI PENNE – PE CECE DELLA MAJELLA (a pisello) CECE DI GORIANO SICOLI – AQ CECE PIZZUTO DI CASTELVECCHIO CALVISIO – AQ CECE SULTANO DI LORETO APRUTINO – PE CALABRIA CECE DI SERRASTRETTA – CZ (CICIARI DE MONACHE) CECE DEL POLLINO CALIA - CECI ABBRUSTOLITI BASILICATA CECI DI MELFI – PT CECI DI MATERA CECE LUCANO LAZIO CECE DAL SOLCO DRITTO VALENTANO – VT CECE DI CANEPINA – VT CECE DI ONANO – VT (Cerère, Otello, Flora) SICILIA CECE PASCIÀ CECE DELLA VAL D’ERICE CECE PRINCIPE CECE DI VILLALBA – CL MARCHE CECE QUERCIA DI APPIGNANO – MC CECE SULTANO MOLISE CECE DI RICCIA – IS PIEMONTE CECE DI MERELLA – AL CECE DI NUCETTO – CN TOSCANA CECE PERGENTINO (Arca del Gusto) CECE PICCOLO DEL VALDARNO CECE RUGOSO DELLA MAREMMA CECE DELLA LUCCHESIA CECE DI SORANA – GR CECE CAPUCCIO DELLA VALTIBERINA PUGLIA CECE BIANCO DELLA MURGIA CECE DEL MONTE FAETO – FG CECE DI NARDO’ – LE UMBRIA CECE PICCINO DI SPELLO – PG SARDEGNA CECE DI LOGUDORO CECE DELLA MARMILLA CAMPANIA CECE DI CICERALE – SA – Presidio Slow Food CECE DI CONTRONE – SA CECE DI TEANO – CE – Presidio Slow Food CECE DI VALLE AGRICOLA – CE CECE DEL FORTORE CECE DI FINUCCHITO CECE DELLE COLLINE CAIATINE CECE IRPINO CECE DEL MATESE CECE PICCOLO DEL SANNIO CECE DI CASTELCIVITA – SA (Monti Alburni) CECE DI CAPOSELE – AV CECE PERGENTINO CECE ROSA TOSCANA CECE ROSA DEL CASENTINO – AR CECE ROSA DI REGGELLO – FI MARCHE CECE ROSA DI STAFFOLO – AN CECE ROSSO PUGLIA CECE ROSSO DI CASSANO MURGE – BA LIGURIA CECE ROSSO DI ORCO FEGLINO – SV ABRUZZO CECE ROSSO DI NAVELLI – AQ CECE NERO PUGLIA CECE NERO DELLA MURGIA CARSICA – Presidio Slow F CECE NERO DI CASSANO MURGE – BA CECE NERO DI MURO LECCESE – LE CAMPANIA CECE NERO DEGLI ALBURNI CECE NERO DI GROTTAMINARDA CECE NERO IRPINO CECE NERO DEL MATESE SICILIA CECE NERO DEGLI IBLEI CECE NERO SICILIANO BASILICATA CECE NERO DI TOLVE – PZ ABRUZZO CECE NERO DE L’AQUILA CECE NERO DI CAMARDA MARCHE CECE NERO MARCHIGIANO Un vero patrimonio da salvaguardare! CECE NERO DI TOLVE
"..... Se nel vostro cuore c'è anche tanta pazienza, e desiderio "di fare" e, soprattutto, tanto volere "di fare bene", allora sì, possedete tutto quanto il necessario per ammannire ogni piatto, da cuoca..... di qualità" Questa annotazione è tratta da uno degli 800 articoli che Amalia Moretti Foggia scrisse con lo pseudonimo di Petronilla, sulle pagine della Domenica del Corriere, a partire dal 1928. Suggerimenti di cucina ed economia domestica, indirizzati alle tante massaie chiamate a metter insieme il pranzo e la cena con pochi denari a disposizione, per sfamare famiglie numerose utilizzando ingredienti poveri, essenziali, con preparazioni semplici ma efficaci. Per l'11 maggio, nella Giornata Nazionale a Lei dedicata, ecco una sua ricetta dove non mancano i legumi:
"Chi vuole preparar, alla svelta e all'economica, una minestra a base di sole verdure, deve (per sei persone) mettere nella pentola un cucchiaio colmo di burro, uno abbondante d'olio e mezza cipolla affettata fina; porre la pentola a fuoco basso; aggiungere, quando la cipolla sarà quasi rosolata, un porro, un pugno di spinaci o di erbe, gli steli di 2-3 foglie di sedano e qualche foglia di verza, tutte ben lavate e soprattutto finemente ritagliate. Deve poi rimescolare con cucchiaio di legno, fino a che anche queste verdure si saranno un poco rosolate; indi aggiunger l'acqua (2 mestoli abbondanti per persona); e, fatto più abbondante il fuoco e mentre l'acqua, scaldandosi, leverà il bollore, dovrà preparare le altre varie verdure ricordando che tanto più squisito riuscirà il brodo, quanto più variati ne saranno gli aromi; e che lo faranno squisito... un pugno di fagioli e di piselli sgusciati, 3-4 patatine sbucciate e dimezzate, 2-3 zucchette tagliate a grossi pezzi, una rapa affettata, e 2.-3 carote tritate fine. Dovrà poscia, di queste verdure, versare nell'acqua bollente della pignatta quelle che il variare delle stagioni avrà permesso di preparare; salare al giusto<, aggiungere (se lo gradisce) il succo di 3-4 pomodori lessati e setacciati o mezzo cucchiaio di salsa sciolta nell'acqua; e lasciar infine bollire per circa mezz'ora. Preparato il brodo, se vuol la minestra casalinga, dovrà aggiungere in quantità bastante e 20 minuti prima di servire, il riso mondato; o, meglio ancora, 6 cucchiai di tapioca che molto si confà con questo brodo. Se, invece, vuole una minestra sciccosa e degna persino di un vero pranzo... dovrà tagliare a dadini o fettine, pane del giorno innanzi o, meglio ancora da crostoni; porre sul fornello un tegame con un cucchiaio di burro; quando il burro imbrunirà, tostarvi (cioè leggermente friggervi) 2-3 dadi o fette di pane alla volta; colare poi il brodo; setacciare le verdure servendosi di un bicchiere; versare solo il passato, assieme al brodo, nella pignatta; rimettere questa al fuoco; aggiungervi un pugno di parmigiano grattugiato, e... E, al momento del pranzo, mettere nella zuppiera il pane tostato; versarvi sopra il brodo bollente; e infine servire la sua squisita zuppa in purè di verdure! Non poco spignattare ma, con poca spesa, ecco però preparata una minestra eccellente e che manderà... in visibilio ogni seguace dell'esclusivo regime vegetariano!" Il legame fra seme e territorio ha una forte rilevanza culturale ed economica. Le piccole produzioni locali rappresentano l’identità culturale di una comunità e la loro valorizzazione rientra in una strategia speculare rispetto all’omologazione della produzione industriale. Noi vogliamo far emergere questa grande biodiversità dei legumi italiani, raccontandovi le loro storie e la loro importanza in ogni regione. Leopoldo Simonato – Legumi che passione Trenta kilogrammi! È la quantità prodotta di questo legume, quasi estinto, di Villanova Monferrato, paese di 1800 abitanti, situato in provincia di Alessandria
Un quantitativo così esiguo da sembrare quasi irrilevante, ma questa è la biodiversità. Attorno a questo fagiolo si intrecciano storie di persone, di cucine, di territori, di comunità, di scambi gratuiti, che rendono estremamente importante il recupero di tali antiche varietà! Faseu d’la prasa, “fagiolo della fretta”. Così chiamato perché il suo ciclo produttivo, dalla semina al raccolto, risulta essere breve, di circa 60 giorni. Questo territorio pianeggiante ha ospitato la sua coltivazione almeno dal XIX secolo e fino all’immediato dopoguerra. Tutti in paese coltivavano e producevano questo particolare fagiolo, sia negli orti per l’autoconsumo, che per la vendita e commercializzazione nella vicina città di Casale Monferrato, ma anche nei mercati di Milano. Gli anziani del paese ricordano che i fagioli venivano posti in cesti di vimini intrecciati a mano e trasportato su carretti per le varie destinazioni. Dagli anni ‘50 la produzione è stata progressivamente abbandonata a vantaggio della risicoltura, che oggi interessa il 90% delle coltivazioni locali, e oggi è quasi estinta. “Ma dieci anni fa - ci racconta il signor Fabrizio Bremide, custode e sindaco di Villanova Monferrato - il mio amico Antonio Costanzo, ultimo produttore rimasto in paese, mi diede i semi come passaggio di consegne, affinché il seme e con lui la storia, non andasse perduta. Da allora li coltivo nell’orto di casa, selezionando negli anni le migliori sementi per ottenere una qualità sempre migliore. Il fagiolo de la prasa rischia di scomparire perché siamo rimasti in due a possedere questi semi. Il mercato richiede varietà più produttive, e magari con semi più grossi o colorati, ma soprattutto i terreni un tempo adibiti a questa coltura sono stati assorbiti dalla risicoltura, come l’intero territorio. La speranza è di mantenere viva questa produzione di nicchia, e da qualche anno sono affiancato anche dalla mia fidanzata, Lisa Cogo, che nonostante sia nata e cresciuta in una metropoli come Milano si è appassionata alla valorizzazione di questa eccellenza del territorio” Nello specifico, il faseu d’la prasa è una varietà nana, con baccello giallo, fiore rosato, seme rosato da fresco ed un particolare “occhio” bianco cerchiato di nero, che una volta essiccata, assume un colore marrone lucido. Tradizionalmente si semina a maggio e si raccoglie a luglio , esclusivamente a mano. Presenta un sapore dolce e richiede una cottura minima di almeno un’ora. Essendo la zona risicola, il piatto tradizionale consumato abitualmente dove risulta protagonista questo fagiolo è la “panissa”, ricetta tipica piemontese a base di riso e fagioli (https://www.legumichepassione.com/ricette-piemonte.html), oltre alla classica pasta (fatta in casa) e fagioli. Una curiosità: nel dialetto locale si usa dire “Te c’ma il faseu d’la prasa”, sei come il fagiolo della fretta, per dire “sei proprio inquieto e non stai mai fermo!”. Articolo di Mariangela Latella, tratto dal sito freshcutnews.it I baccelli di fava, oggi uno scarto della produzione agricola, hanno un valore nutrizionale così elevato da farne un nuovo superfood con proprietà nutrizionali incredibili oltre che un nuovo alleato ‘naturale’ nella lotta al morbo di Parkinson per l’elevato contenuto di fenoli e L-dopa, un precursore naturale del neurotrasmettitore dopamina.
Lo rivela una ricerca congiunta dell’Università e del CNR di Bari, realizzata su sei varietà di fava e appena pubblicata sulla rivista internazionale ‘Foods’, realizzata nell’ambito del progetto di ricerca BiodiverSO (Biodiversità delle Specie Orticole della Puglia) che apre nuovi orizzonti di economia circolare nel settore della IV e V Gamma. Ne parliamo con Massimiliano Renna, ricercatore dell’ISPA-CNR di Bari, coautore del contributo insieme a Pietro Santamaria, ordinario di Scienze agro-ambientali e territoriali dell’Università di Bari. – Ritiene che i baccelli di fava siano utilizzabili come nuovo prodotto di IV Gamma? “Potrebbero essere proposti come nuovo prodotto di IV Gamma se consideriamo che tale tipologia di prodotti prevede fasi di preparazione e condizionamento tali da fornire tutta una serie di servizi al consumatore tra cui pulizia, mondatura, lavaggio, taglio in unità o sub-unità pronte all’uso, conservando nel contempo le caratteristiche di genuinità di un prodotto fresco. Tuttavia, i baccelli di fava richiedono una fase di cottura prima di poter essere consumati come alimento. Pertanto, una nuova referenza di IV Gamma a base di baccelli di fava potrebbe essere promossa come nuovo prodotto ready-to-cook, alla stessa stregua di quello che già avviene per altre tipologie di ortaggi, come gli spinaci pronti da cuocere”. – Quali processi di lavorazione dunque implicherebbero per essere impiegati nell’industria di IV Gamma? “In generale, il processo produttivo della IV Gamma prevede una serie di fasi che vanno dalle preliminari operazioni da adottare subito dopo la raccolta della materia prima, fino alla fase di confezionamento e stoccaggio del prodotto finito in ambiente refrigerato, comprendendo operazioni di trasporto, selezione, mondatura, lavaggio, sanificazione e asciugatura. Considerando che i baccelli di fava rappresentano, ad oggi, uno scarto di lavorazione del settore delle fave novelle trasformate, come quelle surgelate, i processi di lavorazione dei baccelli per la IV Gamma andrebbero adattati predisponendo un processo produttivo che inizi come una sorta di ramificazione del processo produttivo pre-esistente”. – Esistono allo stato attuale sistemi di recupero di questi scarti che possano trasformarli in sottoprodotto? “Sono disponibili sistemi di recupero che permettono di estrarre, da diverse matrici vegetali, composti di interesse nutrizionale ed industriale come polifenoli, antiossidanti, inulina e altri, da utilizzare come integratori e/o ingredienti ed additivi per l’industria alimentare. In questo contesto, sarebbe ipotizzabile considerare i baccelli di fava come matrice da cui estrarre bio-composti da valorizzare. Tuttavia, un percorso di valorizzazione di successo dei baccelli di fava dovrebbe puntare a non considerarli un sottoprodotto dell’industria alimentare, bensì un potenziale alimento funzionale di cui beneficiare integralmente anche in termini di aspetti edonistici”. – Che valore aggiunto potrebbero generare rispetto ad ora, che sono solo uno scarto e dunque un costo? “I baccelli di fava presentano un elevato valore nutrizionale, che risulta sconosciuto alla quasi totalità dei consumatori di prodotti ortofrutticoli. Pertanto, un prodotto di IV Gamma a base di baccelli di fava avrebbe un alto valore aggiunto anche grazie alla possibilità di comunicare le peculiarità del prodotto attraverso opportune etichette nutrizionali e consigli per l’utilizzo”. – Potrebbero entrare ancora di più un nuovo prodotto di V Gamma? “Come accennato, i baccelli di fava richiedono una fase di cottura prima di poter essere consumati come alimento. Pertanto, il segmento dei prodotti di V Gamma potrebbe essere a maggior ragione idoneo a valorizzare questo ortaggio inusuale come nuovo prodotto ad alto contenuto di servizio. Sono convinto che la possibilità di proporre nuove referenze di IV e V Gamma utilizzando ortaggi inusuali, come ad esempio i baccelli di fava, rappresenta un’opportunità che incontrerebbe il favore dei consumatori sempre alla ricerca di prodotti agroalimentari genuini e legati al territorio e/o alla tradizione gastronomica”. Articolo tratto dal sito italiafruit.net, fonte Ufficio Stampa dell'Università di Bari Sapevate che la fava fresca (o fava novella) ha un elevato contenuto di vitamina C e di L-dopa (levo-diidrossifenilalanina), un precursore naturale del neurotrasmettitore dopamina (viene utilizzato dai pazienti affetti dal morbo di Parkinson)? È quanto è emerso da una ricca caratterizzazione qualitativa di sei genotipi di fava contenuta in un articolo pubblicato dalla rivista internazionale “Agriculture”.
Come è noto, i legumi rivestono un ruolo importante sia per la sostenibilità ambientale in agricoltura (grazie ai batteri azotofissatori che vivono in simbiosi con le radici delle leguminose favorendo l’arricchimento in azoto del terreno), sia per la nutrizione umana (grazie al loro contenuto di proteine, carboidrati e minerali). Come altri legumi, la fava (Vicia faba L. var. major Harz) può essere consumata sia allo stato secco, sia come ortaggio (seme immaturo: fava novella). Tuttavia, le peculiarità della fava non sono adeguatamente apprezzate, probabilmente a causa della presenza di vicina e covicina, fattori anti-nutrizionali che possono causare il favismo (sintomatologia di emolisi acuta) nei soggetti predisposti. Al fine di ottenere maggiori informazioni in merito alle caratteristiche qualitativo-nutrizionali delle fave novelle, presso l’Azienda sperimentale “La Noria” (Mola di Bari) dell’Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari (Consiglio Nazionale Ricerche - CNR-ISPA), sono state caratterizzate quattro varietà locali di fava (Cegliese, Iambola, San Francesco e FV5), nell’ambito delle attività del progetto “Biodiversità delle Specie Orticole della Puglia (BiodiverSO)” finanziato con i Programmi di Sviluppo Rurale della Puglia 2007-2013 e 2014-2020. Sui semi freschi (fave novelle) sono stati determinati i parametri qualitativo-nutrizionali, confrontandoli anche con quelli di due cultivar commerciali (Aguadulece supersimonia e Viola extra precoce). I risultati della ricerca sono stati pubblicati sull’ultimo numero della rivista scientifica internazionale “Agriculture” dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali e Territoriali dell’Università degli Studi di Bari e del Cnr-ISPA. Lo studio evidenzia l’elevata concentrazione di vitamina C in tutti i genotipi, nonché la presenza di un alto contenuto di L-dopa, specialmente nella varietà Cegliese, senza differenze tra i genotipi in termini di produzione areica e di dimensioni dei semi immaturi. Le conclusioni dello studio, che presenta anche i dati relativi a proteine, solidi solubili totali, pH, acidità titolabile, colore, clorofille, fenoli e carotenoidi, mettono in risalto le peculiari caratteristiche delle fave novelle e le loro potenzialità per la salute umana. Storicamente i legumi “da passeggio” erano presenti in moltissime civiltà antiche. Pensiamo ai ceci abbrustoliti che venivano consumati nei teatri e nelle agorà della Roma antica, tanto famosi da dare il nome a…. Cicerone (questo per la forma del suo naso), e rimasti nella tradizione gastronomica di molte regioni del Sud Italia (in Calabria prendono il nome di calia). Adesso li troviamo nei negozi del biologico e in molti supermercati, ma si possono tranquillamente fare in casa, ottimi come snack da portare al lavoro o per accompagnare un aperitivo. CECI ABBRUSTOLITI Un altro legume antichissimo “da passeggio” è il lupino, presente nelle tavole della Grecia contadina nell’ultimo giorno di ogni mese, per celebrare Ecate, la dea dell’oltretomba. Un tempo poco considerato, oggi è rivalutato per la sua ricchezza proteica e le numerosissime qualità salutistiche. I lupini mettono allegria, spensieratezza, ci riportano alle sagre di paese, ai venditori nei bordi delle strade, o al loro consumo nei cinematografi al posto degli attuali popcorn. Si possono preparare anche in casa, ma ci vuole tempo e pazienza, e li possiamo trovare già pronti al supermercato in salamoia o sottovuoto. E che dire delle carrube? Legumi atipici, venduti abitualmente nelle feste paesane, che per molti bambini rappresentavano una dolce merenda al posto del cioccolato, da tenere in tasca per gustarla un pezzetto alla volta. Adesso sono una rarità, o meglio, viene utilizzata soprattutto la farina, quella ricavata dai semi (chiamati carati), che è molto costosa e usata come addensante. Non parliamo poi delle arachidi, le cosiddette noccioline americane, snack per eccellenza, legumi coltivati in Italia già nella seconda metà dell’800 a partire dal Piemonte. Una volta era abitudine tenerle nelle tasche, per averle pronte in accompagnamento ad un buon bicchiere di vino al bar, o per consumarle in compagnia. Oggi le arachidi, specie tostate e salate, le troviamo ovunque, e la quasi totalità arriva dall’estero, ma se ne producono anche in Italia. Visionate quindi l’etichetta, le coltivazioni sono ancora limitate, ma stanno aumentando in maniera consistente. Prediligete quelle intere, tostate, ma senza sale. Esistono inoltre mix di legumi disidratati e tostati veramente ottimi come snack, da spiluccare durante il lavoro o insieme ad un aperitivo: sono buonissimi, sani e sicuramente col tempo riscuoteranno sempre più successo. MIX DI LEGUMI TOSTATI Finalmente è arrivata la primavera, stagione di fave e piselli. Non possono certo essere considerati legumi da passeggio, però fave e pecorino è un classico abbinamento da consumare all’aperto per il picnic del 1° maggio. Inoltre, un tempo, in alcune regioni del meridione, nel periodo di massima produzione negli orti famigliari, i piselli e le fave fresche sostituivano la frutta, sia a fine pasto che durante la merenda.
Le tradizioni ci insegnano molte cose, a volte basta riscoprirle e farne tesoro. Leopoldo Simonato – Legumi che passione Oggi vogliamo proporvi la lettura di questo interessante articolo tratto dal periodico Fondamentale, della Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro (Numero 2 - Aprile 2021) LEGUMI, NON SOLO UN CONTORNO Freschi, secchi in scatola o surgelati, i legumi sono alimenti versatili, alleati della salute e dell’ambiente, di cui dovremmo incrementarne il consumo Con l’arrivo della primavera piselli, fave e, a partire da giugno, anche fagioli meritano di essere annoverati tra i vegetali freschi di stagione. Insieme a ceci, cicerchie, lenticchie, lupini e soia sono poi disponibili tutto l’anno se consumati secchi, in scatola o surgelati. Sono alimenti che si prestano alle più fantasiose preparazioni e considerarli un semplice contorno è un vero peccato per la tavola e per la salute. La tradizione mediterranea li vede accompagnati a primi piatti con pasta o cereali in chicco, oppure come componente di un secondo. Mai però porre limiti alla fantasia in cucina. Possono infatti essere frullati per diventare salse o puree, trasformati in burger o polpette, o ancora consumati freddi in gustose insalate. Possono perfino essere ridotti in farine utilizzate come ingredienti di diverse preparazioni o trasformati in vari formati di pasta. Dal punto di vista nutrizionale sono tutt’altro che un cibo “povero”, trattandosi di buone fonti di proteine, fibra alimentare, alcune vitamine del gruppo B e minerali, tra cui ferro e zinco. Queste caratteristiche nutrizionali non subiscono significative alterazioni in nessun processo di conservazione, perciò non ci sono ragioni per non consumarli durante tutto l’arco dell’anno, almeno tre porzioni alla settimana. Secondo le linee guida per una sana alimentazione redatte dal CREA, una porzione di legumi freschi, surgelati o in scatola, corrisponde a 150 grammi, mentre per i legumi secchi la porzione è pari a 50 grammi. Ci sono evidenze convincenti che un consumo regolare di legumi contribuisca a ridurre il rischio di sviluppare obesità e patologie cronico degenerative, tra cui i tumori. Non è semplice identificare il ruolo dei singoli componenti responsabili di questi effetti positivi per la salute, ma è probabile che la scelta dei legumi sia indicativa in generale di un’alimentazione più sana, varia ed equilibrata. Se non si è abituati a mangiare legumi o si hanno sensibilità particolari è possibile che il loro consumo si associ a produzione di gas intestinale. Una soluzione potrebbe essere quella di introdurre inizialmente prodotti decorticati, come piselli o lenticchie rosse, oppure eliminare le bucce utilizzando un passaverdure. In questo modo si facilita anche la digestione per i bambini. Un altro aspetto che spesso disincentiva il consumo di questi alimenti è il tempo necessario per la preparazione, considerando la fase di ammollo e di cottura dei legumi secchi. Ma, come già ricordato, si possono utilizzare anche quelli in scatola, avendo cura di sciacquarli sotto acqua corrente per eliminare l’eccesso di sale contenuto nei liquidi, oppure surgelati. Un’altra soluzione è cuocere una quantità abbondante di legumi per consumarli anche nei giorni successivi, oppure congelarne una parte e averli subito disponibili in freezer. E in questo periodo piselli e fave sono disponibili anche freschi, per preparare primi veloci o insalate. Dopo aver raccontato la storia della particolarissima lenticchia nera di Calasetta, oggi parliamo delle altre lenticchie nere coltivate in Italia. Sono di origine asiatica, anche se molte arrivano dal Canada e dalla Turchia (fate quindi attenzione all’etichetta), e ne esistono di diverse forme e dimensioni. Le più conosciute sono chiamate “beluga” perché piccole, rotonde e lucide, e assomigliano quindi al famoso caviale nero. La coltivazione in Italia è piuttosto marginale e limitata a poche regioni. La più rinomata è senza dubbio la lenticchia nera delle Colline Ennesi, da pochi anni diventata anche un presidio Slow Food, e il paese di Leonforte è il suo centro, conosciuto anche per un altro legume, la Fava larga, altro presidio. Anche se storicamente è il territorio dell’entroterra ennese il più vocato alla loro coltura, vengono prodotte abitualmente anche in altre province siciliane. La lenticchia delle Colline Ennesi presenta il tegumento nero, ma una volta cotta assume un bell'aspetto brunito, con un contenuto di ferro e proteine notevole. LENTICCHIA NERA DELLE COLLINE ENNESI Piccole coltivazioni di lenticchie nere le troviamo in Abruzzo, quali la lenticchia nera delle Rocche (AQ), e quella di S. Stefano di Sessanio (secondaria rispetto alla loro fantastica lenticchia chiara). In provincia di Viterbo abbiamo la lenticchia nera della Tuscia, a Sorano (GR) la lenticchia nera maremmana e, nel cuore del Parco Nazionale del Cilento (SA), la lenticchia nera degli Alburni. Le lenticchie nere presentano un sapore intenso, leggermente aromatico, si sposano perfettamente con il pesce, gamberi e baccalà in modo particolare, e con i sapori agrumati, zenzero compreso. Risultano ottime anche per la classica zuppa con erbaggi di campo, o verdure di stagione. Non necessitano di un ammollo preventivo (ma uno breve comunque lo consigliamo) e cuociono in poco tempo (circa 40 minuti). LENTICCHIA NERA BELUGA Ecco alcune aziende di riferimento delle lenticchie citate (naturalmente ce ne sono altre): Lenticchia nera di Calasetta [email protected] – Calasetta (CI) Lenticchia nera delle Colline Ennesi (Presidio Slow Food) Referente produttori [email protected] – Leonforte (EN) Lenticchia nera delle Rocche – [email protected] – Rocca di Mezzo (AQ) Lenticchia nera della Tuscia – [email protected] – Grotte di Castro (VT) Lenticchia nera tipo Beluga – [email protected] – Rapolano Terme (SI) Lenticchia nera di Sorano – [email protected] – Sorano (GR) Ulteriori informazioni su alcune varietà le potete trovare nelle schede complete inserite nel sito. In tema di biodiversità e di valorizzazione di piccole produzioni territoriali, ci sembra molto interessante il percorso fatto dalla comunità di Calasetta, incantevole borgo sardo, che si trova nella punta settentrionale dell’isola di Sant’Antioco, nell’arcipelago del Sulcis. Vi raccontiamo questa storia, inviataci dalla presidente della Comunità di tutela della Lentiggia naigra de Cadesedda, sperando sia di ispirazione per le moltissime realtà presenti in ogni regione, che potrebbero sfruttare questo momento di rinascita e rilancio dei legumi, per creare un circolo virtuoso che possa portare anche ad uno sviluppo economico e turistico locale. Leopoldo Simonato – Legumi che passione “La Lenticchia Nera di Calasetta. Un percorso di tutela e valorizzazione di una biodiversità identitaria Tabarchina”Storicamente, si presume che la lenticchia a Calasetta, sia stata importata dall'isola di Tabarka, sulla costa tunisina, attraverso i tabarchini, antichi coloni liguri di Pegli, inviati nel 1544 dalla famiglia genovese dei Lomellini e specializzati nella pesca del corallo. Dopo innumerevoli vicissitudini, nel 1770, quarantotto famiglie giunsero a colonizzare l'isola di Sant'Antioco, dediti alla coltivazione e all’agricoltura. In passato, quando l'intero territorio agricolo era interessato dalla coltivazione della vite, la lenticchia nera veniva seminata al centro dei filari dei vigneti. Testimonianze del passato ricordano che la lenticchia veniva usata dai contadini come scambio con i prodotti della pesca, e coltivata esclusivamente da famiglie povere come fonte proteica, non potendo accedere alla carne. Nel 2017 la produzione della lenticchia nera di Calasetta, era ridotta a pochissimi chilogrammi e la sua coltivazione praticata da un ridottissimo numero di abitanti in età avanzata. Questa situazione esponeva la coltura ad un elevato rischio di estinzione. Nello stesso anno, l’agenzia Laore, propose un bando regionale rivolto alle imprese agricole per incentivare la ripresa della coltivazione di biodiversità vegetali. A questo bando, partecipò l’azienda agricola biologica Tupei di Calasetta, proponendo di coltivare la lenticchia nera, denominata nella lingua tabarchina “lentiggia naigra de Cadesedda”. Inizia quindi la coltivazione su una superficie di circa 200 mq., grazie ai semi forniti dall’agricoltore Daniele Rivano, rimasto ormai uno dei pochi che producono a Calasetta la lenticchia per il fabbisogno famigliare, secondo i saperi tramandati dal nonno e da suo padre. Nel 2018 viene costituita la “Comunità di tutela della lenticchia nera di Calasetta- lentiggia naigra de Cadesedda”, con la finalità di tutelare, conservare e valorizzare questa e altre biodiversità del territorio. Nel 2019 sono stati prodotti circa 50 kg. di lenticchie nere, mentre nel 2020 sono raddoppiate con circa 100 kg., con il coinvolgimento di dieci aziende, tre delle quali certificate biologiche. Viene quindi presentata l’istanza per il riconoscimento di P.A.T. accompagnata da una relazione storica, economica e da documentazione fotografica che attesta la coltivazione della lenticchia nera di Calasetta da almeno tre generazioni. Nel 2020, la lenticchia viene inserita nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della regione Sardegna. Dal punto di vista botanico, non appartiene alla specie “Lens culinaris” bensì, grazie al lavoro di ricerca dell’Agenzia regionale Agris con il dipartimento di agraria dell’Università di Sassari, alla specie Vicia articulata, che in Sardegna è presente solo a Calasetta.
Riguardo la coltivazione, il periodo di semina avviene a gennaio-febbraio, ma si presta ad essere seminata anche in autunno, in quanto nelle annate siccitose, la fioritura, momento delicato ai fini produttivi, ha maggiore probabilità di ricadere in un periodo umido. A giugno-luglio, con la maturazione dei frutti e il disseccamento dell’intera pianta, si procede all’estirpazione e all’esposizione al sole. Si prosegue poi con la trebbiatura manuale e la battitura, impiegando dei bastoni di legno al fine di favorire la rottura dei legumi e la fuoriuscita dei semi che andranno poi separati dalle restanti parti della pianta, attraverso operazioni di ventilazione all’aperto, di setacciatura e selezionamento. Le rese produttive sono elevate, considerato che seminando 200 gr. si possono ottenere anche 6-8 kg. di lenticchie. Si possono avere quindi rese pari a 30-40 volte la quantità di seme seminato. Si tratta di una pianta, capace di rispondere ai cambiamenti climatici, in quanto resistente alla siccità, adatta e produttiva anche nei terreni più marginali, poveri e fonte di proteine vegetali per l’alimentazione umana. Per Calasetta e la sua comunità la lenticchia nera contiene elementi gastronomici, storici, culturali e biodiversità, meritevoli di essere considerati degli attrattori in un discorso di sviluppo turistico sostenibile. Silvana Pusceddu Presidente Comunità di tutela “Lentiggia naigra de Cadesedda” Azienda agricola Ricci Michele – Agriturismo Tupei – Calasetta [email protected] – cell. 3394752458 Francesco Severino Sanna Agenzia Laore Sardegna BIBLIOGRAFIA LAGHETTI, G., PIERGIOVANNI, A., GALASSO, I. et al. Single-flowered vetch (Vicia articulata Hornem.): A relic crop in Italy. Genetic Resources and Crop Evolution 47, 461–465 (2000). Comune di Calasetta, Comunità tutela lenticchia nera di Calasetta, Agenzia Laore Sardegna Video- La lenticchia nera di Calasetta “lentiggia naigra de Cadesedda” Un percorso di tutela e valorizzazione di una biodiversità Tabarchina” – 4 settembre 2020 |
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June 2021
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